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I Bassholes sono in giro da
un bel pò di tempo, e la novità più gustosa riguarda
il fatto che sul finire di Febbraio raggiungeranno anche i palchi italiani
(per essere al corrente delle date potete fare riferimento alla sezione
Live Events di The Rock Explosion). Per la precisione l'epopea firmata Bassholes
inizia nel 1993 con il primo full length titolato "Blue Roots"
edito da In The Red. Si prosegue poi sotto l'egida della medesima etichetta
con "Haunted Hill" ('95), Deaf Mix Vol. 3 ('97) e "When My
Blue Moon Turns Red Again" ('98), mentre per Matador Records esce "Long
Way Blues" ('98). Gli ultimi capitoli dei nostri sono "The Secret
Strength Of Depression" uscito nel 2000 per Sympathy For The Record
Industry e l'EP "Out In The Treetops" targato 2004 ed edito da
Dead Canary Records. Nell'anno corrente esce questo omonimo lavoro, primo
full-length dei Bassholes su Dead Canary. Il duo proveniente da Columbus,
Ohio, si fa supportare da una lunghissima serie di artisti, così
nella proposta musicale dei nostri troviamo pure inserti di armonica, banjo
e dobro. Etichettare la proposta dei Bassholes è un dannato enigma,
definirli eterogenei è quasi riduttivo, ma la componente blues è
sicuramente quella predominante. Non a caso si parte con "Broke Down
Engine", originariamente scritta da Blind Willie McTell attorno al
1920, una blues song, registrata dal vivo, lievemente irruvidita da un approccio
garage e low-fi. Song che in certe sfumature sembra avere punti di contatto
con la celebre "Whola Lotta Love" degli Zeppelin. La seguente
"Blackbird" è un delirio imperniato su di lisergico slow
di derivazione country blues reso totalmente folle dal cantato schizzato
di Howland. "Hell's Angels" si tinge di atmosfere più cupe,
ammaliando grazie al proprio minimale intimismo. Si torna su territori più
canonici con il vibrante country di "Daughter" ma presto Howland
decide di riavvolgerci con la propria verve psicotica e "Fascist Times"
va addirittura a sconfinare nel Jazz. I garagisti impazziranno sulle note
della ruvida "Purple Noon", la quale chiama pure in causa i fondamentali
Stooges. A seguire arriva la rivisitazione di "Caravan Man" targata
Lew Lewis, e graziata da una lunghissima ed ipnotica digressione della chitarra
di Derek Dicenzo. Quest'ultimo è ospite dei nostri così come
Lou Poster dei Grafton, già positivamente recensiti su The Rock Explosion.
"Bridgett" è una drammatica e tetra ballata, magnetica
ed affascinante nella sua intima natura teatrale ed acustica. "St.Matthew"
si ritaglia la mia stima più incondizionata: torrido blues supportato
dai fondamentali inserti dell'armonica di Pete Remenyi. I Bassholes riprendono
quindi la tradizionale "John Barleycorn", classico che risale
ai tempi del proibizionismo e della chiusura verso le sostanze alcoliche
(ancora attuale, almeno da queste parti! O sbaglio? Pensate al divieto di
fumo!). I nostri tingono il tutto con atmosfere psycho noire per un apprezzabile
risultato finale. Sul finire i Bassholes riprendono "Heaven And Hell"d
egli Who e mettono la parola fine al lavoro con "Dingleberry Jam",
elettrica improvvisazione strumentale di una band guidata dall'estro incontenibile
di Don Howland. Se fate parte della schiera open-minded ed apprezzate ciò
che non rientra nel convenzionale, allora capirete perché i Bassholes
possono finire di diritto sulla prima pagina di The Rock Explosion! Recensione realizzata da Rossi Bruno |
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